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Caporetto andava in contraddizione con tutta la guerra svolta dall’Italia fino a quel momento, l’Italia aveva sempre attaccato, con Cadorna l’offensiva era l’unica opzione, mentre qui eravamo stati attaccati.
L’impero austro-ungarico era sicuramente più forte e sviluppato rispetto all’Italia, però si era affaticato e non poco in quei dieci mesi di guerra, aveva subito ingenti perdite.
Un milione di uomini erano stati persi.
Un massacro, una carneficina in meno di un anno.
Finora l’Austria aveva combattuto su due fronti: quello orientale con la Russia e quello Macedone, che si estendeva nel sud dei Balcani.
Con l’Italia si apriva un terzo.
Le zone per combattere non si risparmiavano, volendo gli alpini potevano combattere su tutte le alpi, quelle erano la loro casa; ma la guerra, la guerra vera venne fatta solo in due zone: in Trentino, dove però nessuno sfondò e divenne una guerra di stazionamento e atrocità, e lì dove si fece la storia, Trieste.
Gli austriaci arrivavano fino all’Isonzo, per arrivare a Trieste gli italiani dovevano superare il fiume e l’altopiano del Carso.
Ma a Trieste non ci arriveranno mai, se non alla fine.
Cadorna attacca sempre sull’Isonzo, undici battaglie, undici suicidi di massa.
L’offensiva non sfondava mai, ognuna costava migliaia di vite per poche centinaia di metri, a volte chilometri, che andavano persi poco dopo e si doveva ricominciare da capo.
I soldati morti non potevano.
L’Austria subisce e muore di fame.
I viveri non arrivano né ai soldati né ai cittadini, il mare è bloccato, non possono passare.
Eppure resistono, non mollano, non si piegano.
Un sentimento basta agli uomini per persistere, gli austriaci non volevano che le loro terre venissero prese, strappate dal loro controllo, quelle terre gli appartenevano, Gorizia gli apparteneva, Trieste gli apparteneva, i Balcani gli appartenevano, e non li avrebbero ceduti a nessuno.
La guerra per una volta li aveva benedetti, gli aveva concesso un vantaggio, la difesa.
Attaccare voleva dire uscire dalla trincea, correre, annaspare, in un terreno di buchi e filo spinato, mentre il difensore non faceva altro che sparare.
Dove? Ovunque.
L’assaltatore veniva trivellato da mitragliatrici, fucili a ripetizione, bombe, granate; doveva calpestare i cadaveri dei compagni o dei nemici, senza esclusione, senza nemmeno riconoscerli.
La motivazione a volte non basta, servono anche i mezzi e gli austriaci ne sono a secco.
Nell’agosto del 17’ avviene l’undicesima battaglia sull’Isonzo, una vittoria, gli italiani non si fermano più, corrono oltre Gorizia, corrono per più di otto chilometri prima di fermarsi, una rivoluzione.
L’Austria è piegata, deve fare qualcosa, se Cadorna decide di attaccare in autunno è la fine, gli italiani sfondano il fronte e arrivano a Trieste, arrivano al porto, non si può perdere il porto no, è troppo importante.
Gli rimane un’ultima possibilità, chiedere aiuto agli alleati, ai tedeschi.
Chiedere aiuto alla Germania significa subire un’umiliazione, i tedeschi pensano che gli austriaci siano un popolo primitivo e arretrato, e loro lo sanno.
La disperazione avvolge l’animo dei soldati, più dell’umiliazione, più dell’odi, serve aiuto.
Alla richiesta di aiuto la Germania risponde in modo saccente: “perché dovremmo sprecare risorse con un fronte insignificante come quello?”
La Germania non dà importanza né all’Austria, né all’Italia e tantomeno al fronte, ma l’Austria insiste.
Il generale tedesco Hindenburg a quel punto ricorda un evento: durante la guerra di Crimea la Russia dopo la perdita di Sebastopoli, e dunque del porto, aveva capitolato.
Perdere Trieste significare perdere l’unico sbocco sul mare, perdere Trieste significava perdere l’intero impero austro-ungarico.
Gli austriaci allora formularono un piano per attaccare.
L’esercito italiano era posizionato tutto sul mare e sul Carso per arrivare a Trieste, mentre nella fascia montuosa le unità posizionate risultavano scarse.
Agli inizi gli alpini rivendicarono un monte, il monte Nero, e sotto a questo monte si trovava un paesetto sloveno, rinominato dai bersaglieri che lo avevano conquistato Caporetto.
Gli austriaci volevano attaccare tramite la vallata che costeggiava il monte, la val Natisone, da lì sarebbero stati a due giorni da Udine, a due giorni da Cadorna.
Dopo l’attacco l’Austria pronosticava un ritiro delle truppe italiane sino al vecchio confine.
Questo per i tedeschi era una sciocchezza, non sarebbero venuti per così poco, con il loro arrivo avrebbero respinto le truppe italiane sino al Tagliamento, il primo fiume.
I generali austriaci gli risposero che non ci sarebbero mai arrivati.
La Germania allora mandò un generale, esperto del settore alpino, in ricognizione tra le trincee.
Dopo pochi giorni disse al comando generale che lo sfondamento era molto difficile, ma era fattibile, i tedeschi ci potevano riuscire.
Vennero assegnate sei divisioni, in totale di circa centocinquantamila uomini; a capo venne assegnato un generale prussiano, l’attacco doveva avvenire entro la metà di ottobre, erano i primi di settembre.
Tre erano le stazioni ove finivano le ferrovie, distavano tutte una settimana di marcia da Caporetto, in un mese di tempo dovevano arrivare alla stazione e completare la marcia centocinquantamila uomini, cinquemila cannoni, trentamila cavalli per trasportare i cannoni e due milioni di proiettili; erano necessari duemila quattrocento treni in tutto.
Stilarono in pochi giorni gli orari ferroviari.
I treni erano austriaci, alcuni si persero, non era convinti di farcela per metà ottobre.
Le truppe che arrivavano dovevano svolgere un piccolo addestramento per il combattimento in montagna, venivano dotati di armi nuove e poi partivano.
La marcia venne fatta di notte, di giorni gli italiani volavano.
Arrivarono quasi tutti dalla marcia, i burroni si saziarono e colmarono di tedeschi e austriaci; l’attacco era previsto per il ventidue ottobre, gli austriaci non erano ancora pronti, si posticipa al ventiquattro.
Il ventiquattro ottobre alle due di notte comincia l’attacco.
Bombardamento con gas e poi con esplosivo per poche ore, da lì si doveva avanzare, la pianificazione vale fino all’ultimo minuto, poi ignoto.
La Germania aveva fatto di tutto per nascondere l’incombente attacco: travestito generali e fatto disinformazione, non era servito a niente.
L’Italia sapeva già tutto da inizio settembre.
I soldati austriaci in trincea annusarono il cambiamento quando videro speck ed elmetti di acciaio, non avevano più mangiato altro all’infuori di rape e patate; poi arrivò la cartolina verde, da spedire a casa per canali militari, fatta anche per gli analfabeti, con sopra scritto “sono sano e va tutto bene” in otto lingue diverse.
Lo sanno anche gli italiani tramite le intercettazioni telefoniche e i disertori, erano tanti, gli austriaci più degli italiani, perché morivano di fame e perché non a tutti importava di quella guerra: polacchi, rumeni, cecoslovacchi non ne volevano sapere.
Tutti i soldati svegli all’una e mezza doveva indossare la maschera antigas.
Cadorna non credeva più di tanto all’attacco, che vuoi che facciano mai i tedeschi, li prendiamo e li portiamo a sfilare a Milano.
Le chiacchiere son chiacchiere, come generale aumentò comunque le truppe nel settore dove avrebbero attaccato, il vantaggio era dalla nostra, Cadorna era tranquillo.
L’attacco arriva, gli austriaci non possano, gli italiani li conosco e li bloccano, ma i tedeschi no, sono un fiume in piena che travolge tutto; nel giro di tre giorni Cadorna sposta il comando generale a Padova e dà l’ordine di ritirarsi.
Dovevano arrivare sino al Tagliamento, abbandonando tutto quello che era stato conquistato in due anni e mezzo, vanificando la morte di mezzo milione di italiani.
Due settimane per ritirarsi, un disastro, una tragedia; vengono fatti prigionieri trecentomila italiani, messi poi nei lager a morire, di fame, di tifo e di spagnola.
Metà del milione dei soldati in ritirati sono sbandati, sono stanchi della guerra, di soffrire, di sputare sangue, allora buttano le armi e tornano a casa, per loro la guerra è finita e cantano.
Durante la ritirata l’ordine era quello di dar fuoco a tutto, non si doveva lasciar niente al nemico.
I soldati italiani saccheggiarono tutti i magazzini, le case e i negozi, mangiarono e beverono prima di infuocarle; non a tutti andò bene, chi veniva colto sul fatto veniva fucilato seduta stante dai carabinieri.
Anche la gente cominciò a fuggire, a partire dai signori che caricarono i carri e partirono, mentre la povera gente dovette abbandonare tutto, per questo molti non partirono.
Un ufficiale in una lettera scrive di una contadinotta, inebetita dopo giorni e giorni di cammino con il neonato al seno, morto.
I ponti sul Tagliamento sono pochi, la gente è troppa, non si passa, le strade sono bloccate; l’ordine è di rimuovere tutti i veicoli, carri e cavalli, che vennero gettati nei fossi e lasciati lì.
Per arrestare l’offensiva vennero fatti saltare i ponti, ma la gente ancora cercava di fuggire, accalcata sui ponti.
Il nemico non aspetta, i ponti esplosero con le persone.
I tedeschi superarono comunque il Tagliamento, l’ultima speranza risiedeva sul Piave; la marcia ininterrotta aveva messo a dura prova i tedeschi, erano persone come noi.
Al Piave ci arrivarono, ma sfiniti.
I soldati sbandati si accorsero che la guerra continuava, così alcuni tornarono a prestare servizio, rimpinzando le esigue file.
I civili erano sì scappati, ma verso dove?
Cinquecentomila profughi vennero distribuiti tra i vari comuni, ove erano accettai; mentre quelli rimasti restano sotto occupazione nemica per un anno intero, un anno dove i paesi vennero spolpati, donne violentate e uomini umiliati.
Di chi è la colpa?
Se lo chiedono tutti, i giornali scrivono “credevamo di avere un grande esercito”, la pubblica accusa l’esercito e i generali, lo stesso fa la commissione d’inchiesta istituita appositamente.
Ma i generali non ci stanno, Cadorna il giorno stesso dell’ordine di ritirata emana un bollettino dove dichiara che è stato costretto a ritirarsi per colpa di alcuni reparti fuggiti vigliaccamente; anche se tutto ciò non era successo veramente.
Il bollettino viene immediatamente censurato, ma all’estero arriva ugualmente e viene trasmesso.
I militari si convincono che l’esercito era così a causa del marciume del paese, a causa dei socialisti, a causa dei rossi, a causa dei pacifisti, a causa del parlamento, della democrazia.
L’Italia si stava spaccando in modo irreparabile, ma la guerra non era ancora finita.
La guerra è finita solo per i morti.